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Investimenti in borsa – (cap. 5.2)

In cui si racconta come quasi al termine del volo verso Sydney Aurelio narri una operazione da lui stesso subita anni prima.

L’aereo viaggiava tranquillo cullato dal rumore dei propri motori, quando all’improvviso un vuoto d’aria lo fece cadere per qualche secondo. Grida di panico tra i passeggeri. Alcuni bambini si misero a piangere. Poi l’aereo riprese il suo assetto normale e dopo poco la voce del comandante in un inglese quasi incomprensibile annunciò che non c’era da preoccuparsi assolutamente. Sorrisi tra l’imbarazzo e il sollievo dei passeggeri.

Mosé si alzò e fece un giro tra i propri assistiti. Stavano tutti bene. Erano tutti viaggiatori esperti e quindi non si erano spaventati più di tanto. Il più agitato era Aurelio, il commercialista romano, che, parlando al suo solito tono di voce, dava sfogo al proprio nervosismo. Approfittando della sua loquacità Mosé lo invitò a procedere al proprio racconto e lui, dopo uno sguardo d’intesa con la moglie Paola, iniziò così:

“Questa è una storia capitata proprio a me. Non è vero, cara?” e si girò ancora una volta verso la moglie che lo benedisse scuotendo la testa. Italiano notò, ci dice l’autore, quanto sia strano come alcuni uomini, apparentemente i più sicuri di sé, in certe circostanze cerchino l’appoggio di chi vuol loro bene per esporsi in pubblico. Strano, davvero.

“Due anni fa un bel giorno durante una visita di controllo, il mio medico mi disse che era meglio se facevo una endoscopia allo stomaco. In effetti da qualche settimana soffrivo di un mal di stomaco molto forte. La feci qualche settimana più tardi, a pagamento, ovviamente, che quando hai bisogno ci sono sempre delle liste che arriva prima Natale.

Il giorno dell’appuntamento per la gastroscopia arrivai all’appuntamento con dieci minuti di ritardo. Era stata una giornata di merda, si può dire di merda?” – la moglie sconsolata scosse il capo – “un cliente rompicoglioni via l’altro, che poi uno dice che ti viene l’ulcera…e lo credo!” Aurelio parlava a voce così alta che a turno tutti gli altri passeggeri dell’aereo si giravano sbuffando scocciati. Mosé provò a dirgli di abbassare un poco il tono di voce, ma non ci fu nulla da fare. La moglie continuava a scusarsi con i vicini, sussurrando che il marito era un po’ duro d’orecchi e quindi alzava il tono della propria voce. Nessuno per la verità le dava molto credito. I più pensavano che il marito urlasse così dalla più tenera età.

“Insomma arrivo là – riprese Aurelio – e l’inserviente, come si chiama? Insomma quella che sta a lì a riceverti mi dice che la specialista è già andata a casa. A casa, dico io?!? E quella mi guarda serafica e mi dice che erano già le sette meno un quarto passate e che la sua collega alle sei e mezza finisce il turno e abitando fuori Roma deve andare via subito. ‘D’altronde – continua, quella stronza – se era in ritardo lei doveva avvertirci.’ Dice lei. ‘Io dovevo avvertirvi?! – dico io – Per dieci minuti di ritardo? Ma sta scherzando, vero?’ Capite cosa è diventata la sanità in Italia? Lo capite? E poi noi dovremmo pagare le tasse?! Sarà che facendo il fiscalista ne vedo di tutti i colori, ma col cazzo che io pago le tasse con i servizi che mi danno.” La moglie, a quel punto, allungandosi un po’ sul sedile, gli tirò una manica e lui la guardò, sospirò e riprese subito dopo:

“Scusatemi, mia moglie mi riporta all’ordine. Sapete come sono le donne, no? Perdono delle giornate per negozi a cercare cazzate, poi, però…. Sì, sì, va bene. Insomma, quando quella mi dice così, io pianto giù un casino che mi sentono persino dalla strada. Non ci vedevo più. Già, come vi ho detto, era stata una giornata di m iniziata da m e proseguita pulita pulita da m pura. Poi uno si scapicolla per la città, rischia duecento multe, che con la fame di soldi che hanno i comuni sicuramente prima o dopo arrivano, parcheggia, dico parcheggia, come fosse la cosa più facile del mondo, ma io quel giorno ci ho messo almeno un quarto d’ora a trovare un posto, e quando arriva lì si sente dire che doveva telefonare? Per dire cosa? Che i parcheggi a Roma non ci sono?! Ma scherziamo davvero, davvero? Insomma io urlavo e dopo un po’ urlava pure lei, che a un certo punto è arrivato un signore dritto come un palo, mi chiede di calmarmi e di seguirlo. Io per un po’ manco col palo di fra giulio che lo seguo, poi mi decido e finiamo in un ufficio buio, così buio, che quando sono entrato mi sono detto: adesso ci trovo un negro alto e grosso che  mi riempie di botte.

Ovviamente non è stato così. Quello si è seduto mi ha invitato a fare lo stesso, poi parlando quasi fosse un professore della Bocconi si è messo a spiegarmi le loro procedure, i controlli, le minchie e le controminchie, dicendomi che avevo, involontariamente, si capisce, ma messo il dito su una loro inefficienza cui sicuramente avrebbero posto rimedio nei prossimi tempi. Eh sì, perché si scopre che nonostante abbiamo tutti i numeri di telefono dei pazienti – te li chiedono quando prenoti la visita – non li usano, dicono loro, per problemi di privacy. Quando ha detto privacy mi sono girati di nuovo i coglioni a mille – altro strattone della moglie che per meglio controllare il marito aveva abbandonato il proprio posto e si era andata a sedere di fianco al corridoio dell’aeroplano, corridoio dal quale Aurelio raccontava in piedi, sbracciandosi, quasi dovesse arringare la folla – e mi sono messo a gridare, sì cara – disse girandosi di scatto verso la moglie che lo aveva ancora una volta tirato per il maglione – ho capito cara, ma non mi rompere i coglioni anche tu, ti prego, che non dovevano menarmela a me con sta benedetta privacy che vuol dire tutto e non vuol dire niente. Il numero di telefono glielo avevo dato io e quindi li avevo autorizzati e che quindi la smettessero di menarla e dicessero papale papale che avevano sbagliato e basta. ‘Voi dovete risarcirmi, ha capito!’ gli dissi, al che quello si irrigidì ancora di più che quando uno lo tocchi sui soldi non ci vede più. E mi disse che di risarcimento non era proprio il caso di parlare, visto che ero stato io a ritardare, ma che si rendevano ben conto del disagio procuratomi e che quindi si chiedevano cosa potevano fare. ‘Per esempio quando le viene meglio rifare l’esame’ Io mi guardai dentro e capii che soldi era difficile portarne a casa e che il massimo che potevo ottenere e fare l’esame gratis. E glielo dissi. Lui abbozzò, poi mi propose di iniziare fissando una nuova data che andasse bene a me. Io tirai fuori l’agendina e gli sparai il giorno dopo all’ora di pranzo. Volevo vedere se erano pronti. Quello prese il mano il telefono e dopo poco mi confermò la cosa. L’indomani alle tredici potevo rifare l’endoscopia. ‘Cazzo! I miei coglioni! Vedete che quando volete siete super efficienti! E perché se invece vado alla reception ci vogliono due o tre settimane?’ ‘Perché per fare il suo esame ho ordinato che la dottoressa che oggi è andata via così puntuale domani faccia la pausa pranzo un po’ più tardi. Le piace questa spiegazione?’’ “Sì, va bé. Comunque complimenti. Lei sembra una scopa, ma invece ci sa fare. Complimenti, davvero’ ‘Lei invece che mestiere fa?’ mi chiese lui.

Quando gli dissi dottore commercialista, col pallino del fisco e dalla borsa, quello si illuminò quasi avesse visto la Madonna. Si mise a parlarmi dei suoi investimenti in borsa e di quanto si ritenesse sfortunato. Non capiva perché le azioni che comprava lui stavano ferme fino a che le teneva lui, poi appena le aveva vendute schizzavano in alto. ‘Sempre, sempre così’ ‘Bè in borsa il tempismo è tutto. Il timing come dicono gli inglesi.’

Gli raccontai che non lo dicevo per vantarmi, ma in borsa avevo messo su un bel gruzzoletto, sia per me che per i miei clienti. Era sempre più interessato. Mi chiese su quali azioni e io gli buttai lì due o tre operazioni che avevo fatto sulle cose più note del mercato. ‘Caspita! E ci ha guadagnato?’ Gli dissi che su una ci avevo tirato fuori la vancanza alle Maldive per la famiglia, ma che soprattutto sulla seconda era andata veramente bene. ‘Vede – ripetè lui – sempre così: io quelle azioni lì le ho comprate e tenute, tenute e ancora tenute. Poi mi sono stufato e le ho vendute una in pari e l’altra addirittura in leggera perdita. Poi subito dopo sono schizzate.’ ‘Bisogna sapere quando, oltre che cosa. E’ fondamentale.’ commentai io serafico, guardandolo come un professionista guarda uno dilettante sfigato.

“Mi prenderebbe come suo cliente? Dico per la gestione di una parte dei miei risparmi, che il commercialista per la dichiarazione ce l’ho già, ma per tutto il resto è un vero disastro. Peggio di me, che è tutto dire. ’ ‘No, non posso.’  Gli dissi. Io non posso gestire denaro, non sono mica autorizzato e quindi non lo faccio. Ma a volte per certi clienti, quando mi capita una operazione che secondo me ha un senso, prima di farla li chiamo: se ci stanno bene, se no amici come prima. Poi se loro ci stanno, io mi becco una commissione su quel che investono e il venti per cento degli utili. Così gli dico e lui mi risponde che è d’accordo, che trova la cosa equa e quindi va bene e se per favore la prossima volta lo chiamo, lui è più contento. Insomma la giornata che era di m, stava girando verso un bel solicello.

Il giorno dopo ho fatto sto benedetto esame e quando mi danno i risultati il mio medico dice che devo operarmi prima che posso. Cazzo, dico io. Ti ricordi, cara, che strizza mi sono preso? Eh sì, perché fin che si scherza, si scherza, ma quando c’è di mezzo la salute, allora sono cazzi. Insomma, muovo acqua e ponti e prendo accordi per essere operato di lì a quindici giorni, sempre privatamente certo.

In quei quindici giorni che mancavano all’operazione, mi chiama un mio amico che lavora in una multinazionale e mi dice che secondo lui è il caso di comprare azioni della sua società, quotata a New York. Io gli chiedo, lui risponde, insomma mi convinco che ha ragione.  Se quel che dice che accadrà, accadrà sul serio, e lui dice che non ci sono dubbi, visto che è stato deliberato da non so quale comitato loro, allora le azioni dovrebbero salire di un bel pezzo.

Metto giù e mi informo in giro. Le voci che girano sono tutte buone. La società va bene ed è messa bene sul mercato. Mi becco gli ultimi bilanci e li studio. Che poi uno dice che la commissione che mi becco è rubata! Col kaiser che è rubata. Quando io dico a uno che c’è da fare, almeno mi sono fatto il culo a quadretti per esserne ragionevolmente certo. Poi, chiaro, tutto può succedere, però…Insomma mi convinco e faccio il solito giro di telefonate agli amici e ai clienti. Pare non sia il momento buono. A parte l’amico che mi ha segnalato la cosa e me, solo altri tre ci stanno, ma con poco, poco.

La mia  commissione non lievita. A chi potevo dirlo? Allora mi torna in mente il manico di scopa dell’istituto dove ho fatto la gastroscopia, quello stronzo, che poi la gastroscopia me l’ha fatta pagare, che se uno non avesse l’assicurazione potrebbe morire di fame. Lo chiamo e lui dice che ci sta e ci sta forte. Vuole metterci un sacco di quattrini. Io gli dico che forse è esagerato, visto e considerato che i soldi potremmo anche perderli, anche se le probabilità sono tutte dalla nostra. Lui mi risponde che è ricco e che quella è solo la minima parte del suo patrimonio e che quindi non devo preoccuparmi. Al che mi tranquillizzo e smetto di rompere le cocones.

Il mattino dopo faccio l’operazione in banca e poi passo di persona da quelli che ci sono stati a recuperare il grano. Contanti, ovvio. Sulle prime l’azione è stabile, anzi un pochino sul depresso. Poi qualche giorno dopo prende un bel tre per cento e io mi dico che sono iniziate le danze. E’ sempre così. Una notizia la sa uno, poi due, poi tre e via così, e l’azione sale, sale, finché non la sanno tutti e allora quella notizia è bruciata e il mercato ha scontato tutto. La festa è finita e uno può anche vendere tranquillo che non capiterà più niente.

Il giorno dopo, dico del più tre, non succede niente, anzi l’azione scende un pochino. E’ la gente che è già contenta così. Gli basta il tre o anche meno. A me no. Per un misero tre per cento non mi muovo neanche. Scusate, neh! Poi il giorno ancora dopo entro in clinica e vengo operato. Tutto bene, salvo un gran male al risveglio. Figuratevi se in quelle condizioni uno va a vedere la borsa! Resto in ospedale ancora tre giorni e il sabato successivo vengo dimesso. Una settimana al massimo e poi fuori dai coglioni che hanno bisogno del letto. E’ così che funziona.

Insomma il lunedì vado in ufficio ancora tutto ammaccato, che una operazione è una operazione e non faccio a tempo a mettere dentro la testa che la signorina mi dice che il telefono è impazzito e ci sono tutta una serie di clienti che è giorni che mi cercano. Mentre sono lì che ascolto, suona almeno tre volte il telefono e ogni volta la  Iris, bravissima ragazza, dice che non ci sono ancora e poi prende nota della chiamata.

Io mi chiudo in ufficio, le dico di continuare fino a nuovo ordine a non passarmi le telefonate e mi metto a studiare la situazione. Posta arretrata una valanga. Uno non ci crederebbe, ma è pazzesco. Bastano pochi giorni e vieni invaso.

Dalla mia stanza continuo a sentire la segretaria che dice che non sono ancora tornato. Io do una occhiata alla roba che mi sembra più urgente, poi apro internet e mi viene un colpo, quasi peggio della storia di dovermi operare d’urgenza.

Non scherziamo, ma insomma. L’azione su cui stavamo speculando ha perso il cinque per cento! Non so se vi rendete conto, ma un disastro. Il cinque più il tre che aveva preso, non so se mi spiego, meno otto nel giro di tre giorni lavorativi. Chiamo subito l’amico mio che ci lavora e quello mi dice che non si spiega quel ribasso e che per quel che lo riguarda non ha assolutamente intenzione di mollare. Metto giù e non è che sono più tranquillo. Per me quel meno otto voleva dire ottomila euro, ma il totalone era quasi centomila euro di perdita. Certo io glielo avevo detto, ma insomma.

A quel punto prendo in mano il telefono e chiamo tutti quelli che c’erano stati. Avevano tutti già chiamato loro più volte.  Mi scuso, gli racconto dell’operazione e quelli capiscono. Poi però mi chiedono cosa fare e lì sono cazzi. L’esperienza mi dice che fin che si sta intorno all’uno, due per cento, in su o in giù, va bene, non c’è problema, ma uno scarto così grande in pochi giorni e peraltro nel senso contrario a quello che mi aspettavo…. Ci sono solo due possibilità: o la sapevamo troppo lunga noi, o la sapevano troppo lunga gli altri. Pochi secondi. Il mondo che ti passa davanti. Poi rispondo a chi lo chiede che io consiglio di tenere duro ancora qualche giorno e poi decidere.

Sono giorni anche quelli di m. Il lavoro arretrato, ste benedette azioni con i clienti sempre più agitati, eh sì perché la perdita si era fermata, ma di recuperare neanche l’ombra, come se si fosse formata una resistenza, e poi l’attesa dell’esame istologico, che il mio medico mi aveva detto che è solo routine, ma io mi dico, se è solo routine che lo fanno a fare?

Dopo due giorni l’azione è ancora sostanzialmente ferma. Ha guadagnato un un per cento, ma niente, se si pensa che deve recuperare ancora il sette e poi darci i nostri soldi. Alle sei, a mercato chiuso, la società mette fuori un comunicato stampa col quale nega di avere in corso operazioni straordinarie. Di solito quando negano è perché è vero, penso, e se è vero ha ragione l’amico mio. Fatto sta che alle otto mi chiama uno di quelli che c’era stato e mi dice che per lui è troppo. Gli sta bene aver perso il sette, ma se l’operazione straordinaria non si fa più non ha nessun senso aspettare ancora. Cerco di convincerlo, debolmente, però, che se poi ha ragione lui, e alla fine mi arrendo e gli dico che l’indomani mattina avrei venduto la sua quota e gli avrei ridato i soldi.

La voce gira e quella sera mi chiamano tutti e a tutti ripeto che secondo me non ha senso uscire, tanto se è vero il comunicato, allora il mercato ha già scontato tutto, se è falso, allora abbiamo ragione noi e gliela faremo vedere a quegli stronzi. Alla fine li ho convinti tutti e il mattino dopo sono di nuovo in trincea davanti al video a seguire le quotazioni.

E’ andata avanti così un mese, sta stronza di una azione. Alti e bassi. Più due, meno uno e via così. Tutte le sere la stessa solfa. Telefonate e contro telefonate. Nervosismo. Specialmente la scopa col manico era isterico. Continuava a dire che non era per i cinquantamila euro, ma che insomma, lui con la borsa era proprio sfigato. E io a dirgli di no, anche se, devo dire che a un certo punto incominciavo a credere sul serio che portasse sfiga.

Poi, dopo un mese, improvvisamente un bel giorno l’azione ha preso in una sola mattinata un bel più quattro e da lì non si è più fermata. Alla fine della fiera ci siamo portati a casa quasi centomila euro e scusate se è poco. Ci vuole costanza nella vita e fiducia. Bisogna tenere duro. Ah, tra parentesi l’esame istologico è andato bene e pare io non abbia tumori che girano.

Questa è la mia storia. ” e così dicendo Aurelio tornò a sedersi.

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